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lunedì 15 settembre 2025

La rinascita di Stefano Puzzer: dal presidio portuale alla revoca del licenziamento

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La rinascita del grande Stefano Puzzer


C’era una volta una folle idea: che il diritto al lavoro potesse essere messo in discussione da un documento sanitario chiamato Green Pass. Da quell’idea nacque una protesta che scosse non solo il porto di Trieste, ma l’intera Italia. Al centro di tutto, un operaio, un sindacalista, e una voce fuori dal coro: Stefano Puzzer.



Di Salvatore Calleri NatMed

La sua vicenda è fatta di piazza, corde di resistenza, battaglie legali, assenze prolungate, accuse e un licenziamento che sembrava definitivo. Ma oggi, con una sentenza della Cassazione del settembre 2025, la vicenda cambia registro. Il licenziamento è stato annullato: Puzzer ottiene una rivincita storica. La sua voce torna a farsi sentire, e non solo come simbolo di una protesta, ma come testimonianza viva del diritto alla difesa, della libertà sindacale, e del coraggio personale.


Primo atto: la protesta di Trieste

Era ottobre 2021 quando Puzzer, leader del sindacato portuale CLPT, organizzò un presidio mobile a oltranza al Varco IV del porto di Trieste per opporsi all’obbligo del Green Pass nei luoghi di lavoro. (repubblica.it, corrieredelveneto.corriere.it)

La protesta si allargò in fretta, attirando simpatizzanti “No Green Pass” e No Vax, trasformando il Varco IV in un simbolo mediatico nazionale. Il 18 ottobre, lo sgombero con gli idranti segnò una delle giornate più forti del conflitto fra forze dell’ordine e manifestanti.

Puzzer dichiarò da subito che il Green Pass non era una misura sanitaria, ma un ricatto politico ed economico, una scelta imposta dall’alto che violava libertà e diritti fondamentali. Un atto che, per lui, meritava una risposta netta: non adeguarsi, anche a costo di perdere tutto. (corrieredelveneto.corriere.it


Secondo atto: l’assenza, il licenziamento, la battaglia legale

Puzzer fu sospeso dal lavoro nel porto: non aveva esibito il Green Pass, nonostante avesse dichiarato di essere risultato positivo al Covid, e aveva accumulato una lunga assenza ingiustificata. 

Il 16 aprile 2022, l’Agenzia per il lavoro portuale di Trieste decise il licenziamento. Per Puzzer fu una ferita profonda: non solo aveva perso il suo impiego e fonte di reddito, ma anche il legame con quello che lui definiva “una famiglia”, il porto. 

La battaglia giudiziaria fu immediata. Puzzer e i suoi legali sfidarono la decorrenza disciplinare, la proporzionalità delle sanzioni e il bilanciamento fra obblighi sanitari e diritti del lavoratore.


Terzo atto: la vittoria della Cassazione

La svolta arrivò nel settembre 2025, quando la Corte di Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso di Puzzer, annullando la sentenza della Corte d’appello di Trieste e dichiarando illegittimo il suo licenziamento. 

Il licenziamento è stato giudicato sproporzionato rispetto alle motivazioni dell’assenza e della protesta. In particolare, la Cassazione ha considerato che, pur essendo l’assenza ingiustificata, non c’erano sufficienti motivi giuridici per giustificare la perdita definitiva del posto, soprattutto in un contesto di dissenso politico-sanitario così acceso.

Puzzer ha commentato: «Quando ho saputo la notizia stavo andando al lavoro… da oggi posso iniziare a gioire. Ringrazio la mia famiglia e le avvocate Mirta Samengo e Alessandra Devetag». (repubblica.it)

La palla ora passa alla Corte d’appello di Venezia, che entro tre mesi dovrà decidere se disporre il reintegro effettivo di Puzzer nel porto e valutare eventuali risarcimenti.


Quarto atto: la rinascita possibile e il simbolo politico

Puzzer non è più soltanto un nome, ma una bandiera. La sua vittoria non riguarda solo lui: è un segnale per tutti i lavoratori che si sono trovati in conflitto tra la propria coscienza, la propria libertà di scelta e l’obbligo imposto da un decreto. È anche un segnale sul piano politico: una rivendicazione di diritti collettivi, oltre le divisioni vaccino/sì e vaccino/no, una rottura dell’assunto che “emergenza sanitaria” possa giustificare la sospensione dei diritti del lavoro.

Puzzer stesso ha dichiarato che quella sentenza è un punto di partenza, non un punto d’arrivo: ora ci si deve battere perché «la dignità e la giustizia torni per tanti altri sospesi, sospettati, esclusi». 

Nel frattempo, Puzzer ha lavorato come aiuto cuoco e custode in campeggio a Muggia (Trieste), reinventandosi in attesa della sentenza definitiva. Ha dichiarato che il porto è stato “una famiglia” per lui, ma che non sa ancora se vorrà rientrare effettivamente “di servizio” o userà questa vittoria come leva politica per una nuova fase della sua attività. (repubblica.it


Epilogo

La vittoria giudiziaria di Stefano Puzzer segna un prima e un dopo. Dalla protesta al Varco IV del porto di Trieste alla sentenza della Cassazione, passa un racconto di resistenza, militanza, disobbedienza e diritti riaffermati.

Puzzer ha scelto un tempo difficile: ha messo in gioco lavoro, reputazione, stabilità. Ma oggi la strada torna a essere percorribile. La Corte ha riaperto le porte di un dialogo che sembrava chiuso.

Che si scelga di credere nelle sue idee o meno, resta un dato: la lotta di chi ha messo se stesso come ostacolo contro un obbligo imposto, oggi torna a essere un caso emblematico di reintegro e di riconquista del diritto al lavoro.

Un esempio per chi non si arrende, per chi lotta “da posizione di principio”, e un segnale chiaro che il diritto del lavoro può pesare più di qualunque decreto emergenziale.

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