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Nella foto la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani Francesca Albanese. |
Di Salvatore Calleri NatMed
Nel silenzio assordante che ha spesso circondato il dramma palestinese, una voce limpida e ferma si è alzata a rompere l’inerzia della comunità internazionale: Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati. Italiana, giurista, specializzata in diritto internazionale, la Albanese è diventata un simbolo globale di coraggio, rigore morale e incrollabile coerenza.
Una voce scomoda per i potenti
Il suo lavoro, basato su evidenze documentate e testimonianze verificate, ha scosso gli equilibri geopolitici e infastidito chi, da decenni, alimenta conflitti e massacri per interesse. In particolare, gli Stati Uniti d’America – nella loro deriva trumpiana – hanno reagito con violenza verbale e politica contro di lei.
Non sono mancate accuse, pressioni e persino richieste ufficiali di rimozione dal suo incarico, spinte da ambienti vicini all’ex presidente Donald Trump e sostenute da potenti lobby pro-Israele. Un attacco che ha dell’incredibile: anziché concentrarsi sulle atrocità documentate a Gaza – città ridotta a un cumulo di macerie con decine di migliaia di vittime civili – si punta il dito contro chi osa denunciare la verità.
Il coraggio di chiamarlo genocidio
Francesca Albanese non ha indietreggiato. In un recente rapporto presentato alle Nazioni Unite, ha usato una parola che fa tremare i palazzi del potere: genocidio.
Un’accusa forte, fondata però su basi legali solide e supportata da osservazioni sul campo.
Secondo la Albanese, quanto avvenuto (e ancora avviene) a Gaza costituisce una volontà sistematica di annientamento di un popolo, e ciò deve essere riconosciuto dal diritto internazionale.
Non solo: ha elencato le aziende coinvolte nel supporto logistico e militare all’operazione israeliana, sollevando una questione che nessuno osa affrontare apertamente — il ruolo dell’industria bellica e della finanza nella perpetuazione del conflitto.
L’ondata di fango
Come spesso accade a chi combatte per la verità, è partita una campagna diffamatoria feroce: tweet manipolati, dichiarazioni estrapolate dal contesto, titoli costruiti ad arte per delegittimarla. Il tutto orchestrato da media allineati e politici mossi da interessi geopolitici ed economici.
Alcuni parlamentari americani, in particolare dell’area trumpista, l’hanno definita “antisemita”, “estremista” o addirittura “pericolosa per la sicurezza globale”. Ma chi l’ascolta davvero, sa bene che Francesca Albanese non è contro nessun popolo: è contro le politiche criminali, le occupazioni illegittime, le pulizie etniche mascherate da operazioni di difesa.
L’Italia tace. Il mondo ascolta.
Paradossalmente, mentre le sue parole trovano eco tra attivisti, giuristi, pacifisti e organizzazioni per i diritti umani, l’Italia istituzionale resta in silenzio.
Una sua cittadina sta difendendo i diritti umani davanti al mondo, sfidando potenze globali, e nessun segnale ufficiale di sostegno arriva dal suo Paese.
Eppure, all’estero, la sua figura è diventata un simbolo. Francesca Albanese è ormai un punto di riferimento internazionale per chi crede che il diritto non debba piegarsi al potere, e che la dignità umana venga prima degli interessi geopolitici.
Una donna, mille battaglie
In tempi oscuri, la verità ha bisogno di volti coraggiosi. Francesca Albanese è uno di questi.
Non ha mai smesso di credere nella giustizia, anche quando intorno a lei crescevano minacce, intimidazioni e attacchi personali. La sua forza è nella sua coerenza.
Non ha paura di nominare l’ingiustizia, e lo fa con lo stile sobrio di chi conosce la legge, ma anche con l’umanità di chi non ha smesso di indignarsi.
Francesca Albanese non è una militante.
Non è una politica.Non è un’estremista.
È una esperta di diritto internazionale, una donna libera, e soprattutto una coscienza scomoda per chi ha fatto della guerra un affare e del silenzio una strategia.
In un mondo anestetizzato da propaganda e menzogne, servono voci come la sua.
E il minimo che possiamo fare è ascoltarle, sostenerle e non voltare lo sguardo.
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