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Un'analisi della gestione delle sanzioni sui non vaccinati: il caso Italia |
Di Corrado Cianchino PhD
Guardando la mappa, balza subito agli occhi un dato inquietante: l’Italia è stata tra i pochissimi paesi al mondo a introdurre multe contro i non vaccinati. Un piccolo punto rosso che diventa un’enorme questione di democrazia, di diritti e di libertà civili. Perché proprio qui?
Dalla legge Lorenzin al Covid: un laboratorio sociale
Il terreno era stato preparato già con la legge Lorenzin del 2017, che aveva reso obbligatorie dieci vaccinazioni per i bambini, pena l’esclusione dagli asili e pesanti sanzioni economiche per i genitori. Una misura che, per la prima volta, trasformava il tema sanitario in un campo di battaglia politico e sociale.
Con l’arrivo del Covid, questo modello punitivo si è amplificato. L’Italia ha imposto non solo l’obbligo vaccinale per determinate categorie lavorative, ma anche multe dirette per chi rifiutava il vaccino, fino a colpire gli over 50, minacciati da sanzioni di 100 euro.
Un gesto simbolico? Forse. Ma dal forte impatto psicologico: segnare a fuoco una parte della popolazione come “colpevole” e, di conseguenza, punibile.
Un esperimento di ingegneria sociale?
Qui nasce la domanda più scomoda: si è trattato davvero solo di salute pubblica o piuttosto di un esperimento di ingegneria sociale?
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Perché l’Italia è stata scelta come apripista di queste misure estreme?
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Chi ha deciso di trasformare i cittadini in cavie di un sistema di controllo sociale basato sulla paura e sulla punizione?
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Se altri paesi hanno scelto la persuasione, perché in Italia si è preferita la coercizione?
Non si può ignorare il ruolo di una comunicazione politica martellante, che ha diviso il paese tra “buoni” e “cattivi”, vaccinati e non vaccinati. Una strategia che ha creato conflitto sociale, isolamento e stigmatizzazione.
Le conseguenze ancora oggi
Questa scelta ha lasciato una ferita aperta. Migliaia di persone si sono viste recapitare multe e cartelle esattoriali, spesso ancora in discussione. Altre hanno perso il lavoro o sono state sospese. L’immagine internazionale dell’Italia, intanto, è rimasta segnata: il solo paese in rosso sulla mappa, simbolo di un approccio punitivo unico al mondo.
Il quesito rimane: era davvero necessaria questa stretta? Oppure siamo stati teatro di un esperimento per misurare quanto i cittadini siano disposti a obbedire, persino quando si tratta di decisioni che toccano la sfera più intima della salute e della libertà personale?
Se fuori, come suggeriscono molti, non c’era altro che la “solita influenza”, allora la portata di questo esperimento assume un significato ancora più cupo. L’Italia, ancora una volta, potrebbe essere stata utilizzata come banco di prova. Un paese laboratorio, un popolo messo alla prova.
La domanda è: abbiamo imparato qualcosa oppure rischiamo di ricadere nello stesso schema alla prossima emergenza?
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